Placenta ritenuta: cause, gestione, rischi

Il parto non si conclude con l’uscita del bambino; dopo la nascita, infatti, è necessaria l'espulsione della placenta dall'utero. Nella maggior parte dei casi, ciò avviene automaticamente pochi minuti dopo che il bambino ha attraversato il canale del parto.

La ritenzione della placenta è una complicanza rara del parto (1-3% dei parti con bambini nati vivi) che si verifica quando la placenta non esce ma rimane all'interno dell'utero dopo la nascita del bambino. Se ciò accade, i medici devono intervenire manualmente per spingere la placenta fuori dall’utero; se la placenta rimane nell’utero può svilupparsi un'infezione molto grave e potenzialmente fatale.

Cos’è la placenta ritenuta?

Se la placenta non viene espulsa entro 30 minuti dal parto, si parla di placenta ritenuta, condizione che mette la donna a rischio di infezioni postpartum ed emorragie che possono risultare anche fatali.

Esistono diversi tipi di placente ritenute che differiscono notevolmente sia per il modo in cui si verificano che per i rischi a esse associati.

  • Placenta aderente: è la forma più frequente ed è il risultato di contrazioni non sufficientemente forti da permettere l’espulsione completa della placenta che rimane adesa alla parete uterina.
  • Placenta "incarcerata" o "intrappolata": si verifica quando la placenta si stacca completamente dalla parete uterina ma non viene espulsa, rimanendo intrappolata nell’utero. Nella maggior parte dei casi ciò accade a causa della chiusura della cervice prima dell'espulsione.
  • Placenta accreta: condizione in cui la placenta si attacca troppo profondamente alla parete dell'utero causando complicazioni nel parto e provocando, in molti casi, gravi emorragie. La placenta accreta viene generalmente rimossa mediante intervento chirurgico; nei casi più complessi viene eseguita una isterectomia d'urgenza per rimuovere completamente l'utero.

Fattori di rischio

Anche se la placenta ritenuta può essere un rischio per qualsiasi donna, alcuni fattori aumentano la probabilità che questa condizione si verifichi. La ritenzione della placenta, infatti, è più comune nelle donne con più di 30 anni o che partoriscono prematuramente prima della 34a settimana di gestazione. Anche avere una prima e una seconda fase del parto molto lunghe può aumentare il rischio di placenta ritenuta, così come il partorire un bambino nato morto.

Gestione e trattamento della placenta ritenuta

La rimozione della placenta dall'utero è l’unico trattamento possibile in caso di placenta ritenuta; questa operazione può essere svolta manualmente dal ginecologo, con un elevato rischio di infezioni, o somministrando alla madre farmaci che possono innescare ulteriori contrazioni o rilassare i muscoli dell’utero facilitando l’espulsione della placenta.

Anche l'allattamento al seno può aiutare poiché, provocando contrazioni, consente l’espulsione della placenta dall’utero. In alcuni casi anche la minzione può essere d’aiuto poiché la vescica piena può essere d’ostacolo all’espulsione. Se nessuno dei metodi sopra elencati funziona è necessario intervenire chirurgicamente; ciò deve avvenire solo in casi eccezionali poiché comporta una serie di complicazioni.

Complicazioni in caso di placenta ritenuta

In caso di placenta ritenuta possono verificarsi delle complicazioni; questa condizione, infatti, può provocare un'emorragia postpartum particolarmente intensa e pericolosa. Inoltre, l’utilizzo di anestetici in caso di rimozione chirurgica della placenta, può comportare ulteriori rischi, soprattutto se si prevede di allattare immediatamente dopo la nascita. Questi farmaci, infatti, possono passare al bambino attraverso il latte materno.

Dopo l’intervento vengono somministrati antibiotici per ridurre il rischio di infezione e prescritti altri farmaci per stimolare la contrazione dell'utero.

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