Paralisi cerebrale infantile: aspettative di vita

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L’aspettativa di vita è il calcolo della media di sopravvivenza di una certa popolazione di individui con condizioni simili.

L'aspettativa di vita non è quindi il tempo effettivo di sopravvivenza dell’individuo: ciascun soggetto potrà avere una durata della vita diversa, anche molto più lunga rispetto all’aspettativa stimata.

Gli studi sull'aspettativa di vita sono studi retrospettivi (eseguiti nel passato) che non tengono conto della proiezione futura alla luce dei progressi scientifici, del miglioramento delle condizioni sociosanitarie individuali.

Il concetto di aspettativa di vita è stato sviluppato infatti esclusivamente in funzione della definizione dei livelli di assistenza.

Considerati i continui progressi in campo medico e riabilitativo, è più probabile che non che la maggior parte dei bambini affetti oggi da paralisi cerebrale infantile, nonostante possano necessitare durante la loro vita di molteplici visite mediche specialistiche, di terapie, di interventi chirurgici, dell’assistenza di un’insegnante di sostegno e dell’ausilio di tecnologia assistiva, possono condurre delle vite lunghe e felici.

Definizione scientifica di "aspettativa di vita"

L'“aspettativa di vita” (“life expectancy”) è un parametro preciso e specifico, che ha una definizione altrettanto precisa e specifica.

La definizione scientifica di “aspettativa di vita” è la seguente:

la media aritmetica del tempo di sopravvivenza rimanente in una coorte definita, ipotetica o reale. In termini statistici maggiormente tecnici è il valore atteso derivante da un insieme casuale di tempi di sopravvivenza. In alternativa, si può pensare ad esso come il tempo medio di sopravvivenza per un singolo membro di una data popolazione o coorte se un tale individuo potesse (ipoteticamente) vivere la vita più e più volte

Nel prosieguo del testo si chiarirà se la paralisi cerebrale infantile possa determinare nel paziente un rischio di ingravescenza dello stato di salute e come possa per contro essere certamente ottimizzata la durata della vita dei soggetti affetti da PCI.

Si illustreranno poi i tentativi, di origine anglosassone, di uso del calcolo dell'aspettativa di vita al fine di contenere il risarcimento del danno, come vorrebbero i soggetti danneggianti e le loro compagnie assicuratrici.

Si chiarirà in conclusione la funzione del calcolo dell'aspettativa di vita dei bambini affetti da paralisi cerebrale infantile per capire in definitiva se tale parametro possa essere validamente utilizzato per contenere l'entità del risarcimento del danno.

La paralisi cerebrale infantile può peggiorare?

La paralisi cerebrale infantile è una condizione che non progredisce. Ciò significa che la lesione encefalica che determina la paralisi cerebrale e le conseguenti disfunzioni motorie non peggiorerà o cambierà col passare del tempo. Tuttavia, altre condizioni, note come condizioni associative e fattori attenuanti, non essendo causati dalla medesima lesione encefalica, col passare del tempo possono subire delle variazioni. La portata di tali variazioni dipende dalla gravità della condizione e dal trattamento applicato e può avere riflessi (sia positivi che negativi) sulle generali condizioni di salute ed aspettativa di vita del soggetto. Condizioni comunemente associate alla paralisi cerebrale infantile sono disabilità intellettuale, difficoltà nell’alimentazione, convulsioni, compromissioni della vista e compromissioni dell’udito.

In alcuni casi può verificarsi il decesso del neonato durante la nascita o nei momenti immediatamente ad essa successivi. Grazie agli avanzamenti della tecnologia e della scienza, tuttavia, molti bambini che in passato sarebbero stati destinati alla morte, riescono a sopravvivere. Tali bambini, tuttavia, sono spesso affetti da condizioni particolarmente gravi.

La paralisi cerebrale infantile viene diagnosticata nella maggior parte dei casi tra il terzo ed il quarto anno di vita del bambino. Una volta effettuata la diagnosi, l’attenzione si appunta sul problema motorio e sulla salute del bambino in generale. Ad esempio, il bambino con paralisi cerebrale può avere una disfunzione motoria orale (i muscoli facciali sono compromessi e, di conseguenza, la masticazione e la deglutizione sono più difficoltosi). La disfunzione motoria orale può determinare un aumento del rischio di contrarre pneumonia ed infezioni. Al fine di ottimizzare lo stato di salute del bambino, tali condizioni devono essere trattate in maniera appropriata.

Ciascuna delle condizioni associate determina la necessità che sia predisposto in maniera appropriata un determinato trattamento. Ogni situazione è unica e dipende da una varietà di fattori.

Fattori incidenti sull'aspettativa di vita

In generale, l’adeguata conoscenza e l’appropriato trattamento dei sintomi di una condizione consente la diminuzione del rischio e la conseguente ottimizzazione dell’aspettativa di vita del soggetto. In particolare in ordine alla paralisi cerebrale infantile, i fattori incidenti sull’aspettativa di vita del bambino sono i seguenti:

  • Quantità di compromissioni motorie e disabilità delle quali il soggetto è affetto
  • Livello di gravità
  • Limitazione della capacità deambulatoria
  • Difficoltà a nutrirsi
  • Convulsioni
  • Funzione cognitiva
  • Capacità visiva
  • Funzione respiratoria

Ottimizzazione dell'aspettativa di vita

Il personale medico e i familiari possono svolgere un ruolo cruciale nel ridurre i fattori di rischio di diminuzione dell’aspettativa di vita. I genitori trascorrono la maggior parte del tempo con il bambino e conoscono i suoi bisogni quotidiani ed il modo in cui soddisfarli. I genitori svolgono anche l’importante funzione di assistere il medico specialista nell’identificare e classificare la condizione del bambino, nell’individuarne i progressi o gli aggravamenti. L’uso di un piano di cura può aiutare i genitori nell’individuare gli obiettivi e definire i metodi di trattamento.

La condizione di ciascun bambino è unica ed il medico deve, di conseguenza, individuare gli obiettivi ed il trattamento da seguire non in base alla disfunzione ma in base all’individuo.

I genitori, al fine di ottimizzare le cure e la qualità di vita del bambino dovrebbero seguire un piano attraverso il conseguimento delle seguenti tappe:

  • Individuare gli obiettivi della terapia e del trattamento insieme al medico
  • Iniziare la terapia ed il trattamento il prima possibile
  • Tenere presente che complicazioni importanti possono verificarsi in ogni momento al fine di riconoscere e minimizzare tali fattori, agire tempestivamente o chiedere assistenza, se necessario.

Piano di cura per ottimizzare l’aspettativa di vita dei bambini affetti da paralisi cerebrale: gli obiettivi

Gli obiettivi di un piano di cura per ottimizzare l’aspettativa di vita dei bambini affetti da paralisi cerebrale includono:

  • Ottimizzazione della mobilità
  • Gestione delle condizioni primarie
  • Controllo del dolore
  • Prevenire e trattare complicazioni, condizioni associate e fattori attenuanti
  • Massimizzare l’indipendenza
  • aumentare le interazioni sociali
  • Favorire la cura di sé
  • Massimizzare la comunicazione
  • Massimizzare le capacità di apprendimento
  • Migliorare la qualità della vita

Prassi del calcolo dell'aspettativa di vita ai fini della quantificazione del risarcimento

Nei procedimenti in tribunale in materia di risarcimento dei danni subiti dal neonato durante il parto, si è diffusa negli ultimi anni la tendenza a far uso, impropriamente, del calcolo dell’aspettativa di vita  per stimare  il risarcimento del danno del danno biologico del bambino e le spese cui la sua famiglia andrà incontro per tutta la vita. Tali spese in effetti possono essere di entità rilevantissima, a volte addirittura maggiori dell’intero ammontare del risarcimento del danno permanente biologico (danno fisico subito dal bambino) e del danno patrimoniale da lucro cessante (il danno consistente nell’azzeramento della capacità del soggetto di produrre reddito).

Sotto tale profilo il calcolo dell’aspettativa di vita ha una portata dirompente se si pensa che nella prassi risarcitoria italiana, il criterio seguito dai giudici è stato quello di calcolare una cifra unica, omnicomprensiva, in un unico tempo, che tiene conto non solo del danno come emerge al momento del giudizio, ma anche di come esso si proietterà nel futuro.

Come di illustrerà di seguito gli studi sull'aspettativa di vita sono in realtà non idonei a calcolare il risarcimento.

Di seguito si indicheranno per completezza i criteri attraverso i quali si vorrebbe contenere il risarcimento del danno facendo ricorso al calcolo dell'aspettativa di vita.

Si spiegherà poi perché non è corretto, sia sul piano scientifico che su quello giuridico, contenere il risarcimento del danno biologico tout cour (quello cioè da inabilità permanente) facendo ricorso al calcolo della aspettativa di vita.

Capitalizzazione delle spese future per assistenza

Il processo di capitalizzazione delle spese future invalso nella prassi (come si vedrà errata) si basa essenzialmente su due parametri:

  1. costo annuale delle cure
  2. l’aspettativa di vita media del gruppo di appartenenza del soggetto leso

1. primo parametro di capitalizzazione delle spese: il costo annuale delle cure

Per la sua quasi totalità, il costo annuale delle cure si determina in base a cinque diversi parametri:

  • l’assistenza sanitaria (attività specialistica, medica, infermieristica);
  • l’acquisto di farmaci;
  • l’adeguamento dell’ambiente domestico;
  • l’acquisto di presidi di supporto;
  • l’assistenza ausiliaria (attività non specialistica, supporto di collaboratori interni o esterni)

Inoltre, al fine di pervenire ad una definizione equa ed obiettiva del grado di dipendenza del soggetto che consenta di stabilire le ore di assistenza necessarie per ogni singolo individuo è di indubbia utilità pratica il metodo di valutazione di seguito illustrato.

Al soggetto è assegnato, per ciascuna delle seguenti attività elementari della vita quotidiana, un punteggio pari a 10, 5 o 0 a seconda che per lo svolgimento della particolare attività il soggetto stesso necessiti di assistenza completa, parziale o di nessuna assistenza:

1. Vestirsi e svestirsi

2. Farsi il bagno o la doccia

3. Igiene del corpo

4. Bere e mangiare

5 Mobilità

6. Continenza

In base al punteggio ottenuto sarà possibile desumere un’indicazione orientativa del numero di ore giornaliere di assistenza ausiliaria necessaria.

2. Secondo parametro di capitalizzazione delle spese: l'aspettativa di vita del gruppo di appartenenza del soggetto leso

Decisamente più complesso è il secondo parametro da considerare per calcolare le spese di assistenza futura, ovvero il numero di anni che si presume quel soggetto affetto da paralisi cerebrale ancora vivrà.

Come accennato e come si chiarirà meglio infra non è tuttavia possibile ricavare la durata della vita dell'individuo in concreto dalla durata della vita media del gruppo di appartenenza del soggetto leso.

Ad ogni modo si illustreranno di seguito i principali studi sull'aspettativa attraverso i quali si pretende poter calcolare la durata della vita del singolo danneggiato ai fini del calcolo del risarcimento.

I fattori principali dai quali l’aspettativa di vita dei soggetti affetti da PCI sono rappresentati, oltre che dall’età, dalle capacità funzionali di base (capacità motorie e di alimentarsi) e dalle capacità cognitive (ad es. comunicazione verbale e non verbale).

Uno degli studi principali sull’aspettativa di vita nelle persone severamente disabili è quello Eyman e collaboratori effettuato su 99.543 persone con deficit dello sviluppo psicomotorio seguite dal “Dipartimento dei Servizi sullo Sviluppo” della California nel periodo compreso tra il marzo 1989 e l’ottobre 1997. I ricercatori rilevarono che se una persona era affetta da ritardo mentale severo e profondo, non era in grado di provvedere autonomamente alla propria igiene intima ed era alimentata attraverso una gastrostomia, la sua aspettativa di vita era di soli 4-5 anni se all’inizio dello studio aveva un’età compresa tra 1 e 24 anni. In particolare, nello studio veniva individuata la mobilità (o la immobilità) come il più importante singolo fattore predittivo del rischio di mortalità.

Alcuni anni dopo Hutton e collaboratori (1994) valutarono 1.251 soggetti con paralisi cerebrale nati tra il 1966 e il 1984 nella regione del Mersey del Regno Unito utilizzando registri ad hoc ospedalieri e comunitari. Gli autori riscontrarono che le morti si concentravano nei gruppi di soggetti con disabilità più gravi e che il gruppo di peso normale alla nascita (>2.500 g) conteneva la maggior parte dei soggetti con disabilità definita severa in ciascuna delle tre categorie di disabilità (deambulazione, destrezza manuale, abilità mentale). Ancora una volta fu quindi evidenziato che l’incapacità a muoversi era il più importante singolo fattore statistico predittivo della mortalità.

Strauss D. e Shavelle R., ricercatori statunitensi della University of California, in uno studio pubblicato nel 1998 sul “Journal of Insurance Medicine, basandosi su un database costituito da 42.371 persone di tutte le età affette da paralisi cerebrale (di cui il 52% tetraplegiche), hanno evidenziato che la presenza o la assenza di tetraparesi costituisce il più importante fattore che influenza la sopravvivenza.

A conclusioni simili (ovvero che il grado di disabilità influenza significativamente l’aspettativa di vita) è pervenuto un altro studio pubblicato da ricercatori del regno unito (Hutton J.L. et all.) su “Arch dis Child” del 2000, che ha preso in esame 596 soggetti affetti da paralisi cerebrale nati tra il 1960 e il 1990. Da tale ricerca, infatti, è emerso che più di un terzo dei casi con disabilità severa (ossia incapaci di alimentarsi, vestirsi e camminare autonomamente) sono morti prima dei trent’anni; di quelli con disabilità cognitiva severa, il 63% è vissuto fino a 35 anni (il 58% con disabilità motoria severa), mentre nel 98% dei pazienti senza disabilità severa è giunto fino a 35 anni.

Secondo questo studio, dunque, la maggioranza dei pazienti affetti da paralisi cerebrale senza disabilità severa giungerebbe all’età adulta, mentre accadeva il contrario nei soggetti portatori di disabilità gravi, incapaci di deambulare, vestirsi, lavarsi ed alimentarsi autonomamente. Questi ricercatori hanno altresì introdotto il concetto di “Lifestyle Assessment Score” (LAS), che sta ad indicare l’impatto della disabilità nei bambini e nelle loro famiglie e che fa riferimento a vari parametri (indipendenza fisica, aggravio economico, integrazione sociale, scolastica, lavorativa, ecc.).

Infine, nel 2001 autori australiani (Blair E. et all.) basandosi sul “Western Australia Cerebral Palsy register” comprendente 2014 persone nate con paralisi cerebrale nel 1958 e il 1994, hanno messo in luce che i fattori più importanti che influenzano la sopravvivenza sono rappresentati, in ordine di importanza, da deficit cognitivo, da quello motorio severo e dall’età gestazionale alla nascita, atteso che i bambini nati dopo la 32ª settimana di gestazione sarebbero a rischio di mortalità più di quelli nati pretermine.

Lo studio mostra che circa il 6% di tutti i soggetti con paralisi cerebrale muore prima dell’età di cinque anni e un altro 11% tra i 5 e i 40 anni. Si stima, inoltre, che tra i soggetti con profondo deficit intellettivo, il 22% muoia prima di cinque anni ed il 50% prima dei 18 anni, comparato al 10% ed al 24%, rispettivamente, di quelli con deficit intellettivo severo e al 2,8% di quelli con quoziente intellettivo più elevato. Lo stesso studio, infine, mostra che la sopravvivenza è inversamente correlata alla severità della disabilità motoria.

Per quanto attiene all’aspettativa di vita dei soggetti con paralisi cerebrale nell’età adulta, la ricerca di riferimento può considerarsi quella, indicata sopra, effettuata da Strauss e Shavelle nel 1998. Gli autori hanno evidenziato che alcuni parametri, quali l’eziologia della paralisi cerebrale, la localizzazione della disfunzione motoria (tetraparesi, emiparesi, paraparesi, diparesi), la presenza o meno di epilessia, le capacità cognitive e comunicative, non influenzano significativamente l’aspettativa di vita dei soggetti con paralisi cerebrale di età adulta, mentre altri parametri quali la capacità di alzare la testa dalla posizione supina, la capacità di rotolare o sedersi, nonché le modalità con cui il soggetto si alimenta (mediante gastrostomia, aiuto di altre persone o autonomamente, anche se con le dita), incidono notevolmente sulla sopravvivenza dei soggetti anzidetti.

Riduzione del risarcimento in base all'aspettativa di vita media: criticità scientifiche e giuridiche

Nei procedimenti giudiziali aventi ad oggetto il risarcimento del danno del bambino affetto da PCI a causa di errore medico, i consulenti tecnici delle parti danneggianti ed i medesimi consulenti quando svolgono attività di consulenti del Giudice, tendono a dare per scontato che l’analisi della letteratura in tema di aspettative di vita dei soggetti affetti da paralisi cerebrale possa fornire al medico legale gli strumenti per giungere ad indicazioni scientificamente fondate sulla durata in concreto della durata vita di tali soggetti e, dunque, sul numero di anni di cui occorre legittimamente tener conto per quantificare il danno biologico e capitalizzare le spese future di assistenza.

Merita osservare che la tendenza sopra descritta potrebbe rispondere agli interessi di enti importanti, quali strutture sanitarie sia pubbliche che private e compagnie assicurative, di contenere le somme da versare a titolo di risarcimento ai bambini affetti da danni cerebrali a causa di errore medico e alle loro famiglie.

In effetti l'uso della letteratura in tema di aspettativa di vita ai fini del contenimento dei risarcimenti è completamente infondato sia sul piano scientifico che su quello giuridico.

Quanto alle criticità sul piano scientifico merita  osservare quanto segue.

Gli esigui studi finora condotti sull’aspettativa di vita dei macro-lesi, sopra indicati, sono finalizzati esclusivamente alla pianificazione dei livelli di assistenza.

Nessuna delle ricerche pubblicate, tuttavia, si propone di valutare l’aspettativa di vita in funzione della quantificazione del risarcimento del danno.

Si tratta infatti di studi di coorte basati su un’impostazione retrospettiva, che non tiene conto della proiezione futura alla luce dei progressi scientifici, del miglioramento delle condizioni sociosanitarie individuali – anche in virtù di un risarcimento adeguato – dell’accesso a terapie avanzate e del costante aggiornamento nella formazione dei caregiver, i quali sempre più spesso beneficiano del supporto offerto dalla telemedicina.

Gli unici riferimenti disponibili in letteratura riguardano alcune tabelle relative a Traumatic Brain Injury (TBI), Cerebral Palsy (CP) e Spinal Cord Injury (SCI). Sebbene siano facilmente consultabili e suddivise per livelli di gravità, tali fonti risultano datate: si basano su studi pubblicati nell’ultimo decennio, ma fondati su dati raccolti tra il 1980 e il 2010; in particolare, le valutazioni relative alle SCI derivano da una ricerca risalente al 1943, aggiornata solo fino al 2010.

Alla luce della rapidità dei progressi tecnologici – come quelli in ambito riabilitativo (si pensi alla riabilitazione robotica e ai dispositivi sviluppati grazie alla bioingegneria, esoscheletri in primis) – si impone un aggiornamento delle fonti, in modo da offrire agli utenti dati prospettici piuttosto che retrospettivi. Solo così sarà possibile valutare con maggiore accuratezza l’efficacia dei trattamenti disponibili sul territorio nazionale, sia rispetto al miglioramento della qualità di vita sia all’aumento dell’aspettativa di vita.

In ambito risarcitorio, è imprescindibile un impegno etico e deontologico da parte di tutti gli attori coinvolti per commisurare il risarcimento alle reali esigenze di vita del neuroleso, specialmente nei casi più gravi, e per supportare le famiglie nella produzione della prova del danno nei primi anni successivi al trauma.

Infatti, risulta estremamente difficile stimare i bisogni del paziente basandosi esclusivamente sulla documentazione iniziale, considerato che l’impatto devastante a livello familiare – legato alle ingenti spese immediate per cure e adeguamento degli ambienti – è spesso temporaneamente mitigato dal sacrificio dei familiari, che si improvvisano caregiver rinviando alcune spese significative all’esito del procedimento risarcitorio.

Quanto alle criticità sul piano giuridico merita ricordare i principi posti, rispettivamente, da due recenti sentenze della Cassazione:

  • l’inadeguatezza dei soli coefficienti di probabilità statistica ai fini della
    configurazione del nesso causale,
  • La configurabilità del danno da rischio latente di ingravescenza e decesso in caso di accertamento in concreto della minor aspettativa di vita.

Con riferimento alla prima tematica, la Corte di Cassazione (Cass., Sez. IV, 2 ottobre 2024, n. 45399, Pres. Di Salvo, Rel. Ranaldi), si è pronunciata su una questione di rilevante interesse in tema di responsabilità medica e utilizzo di coefficienti di probabilità statistica nell’accertamento del nesso causale, ribadendo che «non è consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica di riferimento la conferma, o meno, dell’ipotesi accusatoria sull’esistenza del nesso causale, poiché il giudice deve verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell’evidenza disponibile».

Non è pertanto sufficiente affidarsi alle statistiche generali per determinare la causa dell’evento. Il diritto, infatti, si concentra sulla causalità particolare, ovvero sull’analisi dettagliata di ciascun caso individuale, piuttosto che su conclusioni generalizzate. La causalità giuridica, per sua natura, è sempre specifica e relativa a un caso, mai generica o basata su dati generali.

In ordine al secondo tema, la Corte di Cassazione (sent. del 19 novembre 2024 n. 29815, Pres. Travaglino, Rel. Cirillo), ha stabilito che nel caso si provi in concreto che il danneggiato, a causa della gravità della patologia patita, sia esposto ad un maggior rischio di ingravescenza e morte, si configura un autonomo danno alla salute risarcibile, appunto il danno da rischio latente di ingravescenza e decesso, che differisce dal danno biologico e dal suo mero peggioramento dovuto alla evoluzione naturale dell’infermità (cfr. anche Cass. n. 26118/2021).

La sentenza in parola, ha affermato inoltre al riguardo che: “... non è pensabile che in una situazione del genere, nella quale ci sono ridottissimi margini di aumento della percentuale di invalidità, il danneggiante possa trarre addirittura vantaggio dall’incredibile gravità del danno arrecato”; ed anche che “il c.t.u., chiamato a valutare la percentuale di invalidità permanente sulla quale calcolare il danno biologico, dovrà incrementare quel valore proprio per tener conto del rischio latente; facendo così, la liquidazione potrà avvenire tenendo conto della minore speranza di vita in concreto, e non di quella media. Ma se, al contrario, il c.t.u. non avesse considerato il rischio latente nel calcolare la percentuale di invalidità permanente, allora di quel pregiudizio «dovrà tener conto il giudice, maggiorando la liquidazione in via equitativa: e nell’ambito di questa liquidazione equitativa non gli sarà certo vietato scegliere il valore monetario del punto di invalidità previsto per una persona della medesima età della vittima: e dunque in base alla vita media nazionale, invece che alla speranza di vita del caso concreto» (così ancora la sentenza n. 26118 del 2021)”.

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Fonti

  • Eyman R.K., Grossman H.G., Chaney R.H., Call T.L., The life expectancy of profoundly handicapped people with mental retardation, New England Journal of Medicine, 1990, 323: 584- 589.
  • Hutton J.L., Cooke T., Pharoah P., Life expectancy in children with cerebral palsy, British Medical Journal, 1994, 309: 431-435.
  • Strauss DJ, Shavelle RM, Life expectancy of adults with cerebral palsy, Developmental Medicine &
    Child Neurology, 1998, 40: 369-75
  • Blair E, Langdon K, McIntyre S, Lawrence D, Watson L. Survival and mortality in cerebral palsy: observations to the sixth decade from a data linkage study of a total population register and National Death Index. BMC Neurol. 2019 Jun 4;19(1):111”
  • J L Hutton 1, P O D Pharoah, Life expectancy in severe cerebral palsy. Arch Dis Child . 2006 Mar;91(3):254-8”
  • Luigi Mastroroberto e Federica Mela, "Le spese di assistenza al paziente con paralisi cerebrale", in Silvano Agosti, Monica Cucci, Marco Rodolfi, Attilio Steffano, "La responsabilità professionale del ginecologo e dell'ostetrico". Maggioli Editore. 2011
  • Day SM, Reynolds RJ. Survival, Mortality, and Life Expectancy. In: Al-Zwaini IJ. Cerebral Palsy-Clinical and Therapeutic Aspects. BoD, 2018
  • Vasapollo D, Demaria F, Zucchini S: “Asfissia perinatale. Considerazioni cliniche e medico-legali” in Donelli F, Gabrielli M: “Responsabilità medica e valutazione del danno” Maggioli ed 2017, pg 280-314
  • Vasapollo D, Demaria F, Lo Baido S: “Timing della sopravvivenza nei grandi disabili” in Gabrielli M, Donelli F: “Macrolesioni e macrodanno” Maggioli ed 2020, pg 145-161.
  • Corte di Cassazione, Sentenza del 19 novembre 2024 n. 29815, Pres. Travaglino, Rel. Cirillo

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